E' STATA MESSA a punto una nuova tecnica chirurgica capace di evitare la distruzione dello sfintere anale nei pazienti che si sottopongono all'asportazione del tumore al colon-retto. L'umiliante conseguenza del sacchetto sull'addome per la raccolta delle feci, successiva alla colostomia tradizionale e con la quale convivono a tutt'oggi 50-60 mila italiani, può essere così evitata. E allo stesso modo possono essere eliminati gli elevati costi sociali dovuti all'invalidità , che pesano sulla spesa pubblica con svariate decine di miliardi.
Quella che si esegue all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è infatti una metodica conservativa che ricostruisce all'estremità del colon una tasca sostitutiva dell'ampolla rettale excisa. Essa viene collegata al canale anale e funziona come serbatoio delle feci. «Questo approccio riporta il paziente operato ad una normale funzione fisiologica nel 90 per cento dei casi», sostiene Ermanno Leo, direttore dell'Unità Operativa di Chirurgia colorettale dell'Istituto Nazionale dei Tumori. «Dalle relazioni tenute ai congressi e dai confronti con altre tecniche è inoltre emerso che la nuova chirurgia riduce le recidive dal 30 all'8 per cento. Proiettando su scala nazionale i risultati ottenuti, ciò significa che riesce a preservare la salute, e spesso a salvare la vita, ad alcune migliaia di pazienti con tumore al retto».
Poter contare su un intervento conservativo è quanto ma importante in una realtà come la nostra, nella quale ogni anno circa 35 mila italiani si ammalano di cancro al colon-retto e 18 mila ne muoiono. La nuova tecnica è infatti indicata per tutti i pazienti che soffrono di questa forma tumorale, localizzata precisamente nell'ultima parte del retto a 4-5 cm dall'esterno nei quali il muscolo sfinterico è ancora sano. Ad esso possono inoltre accedere anche le persone che portano il sacchetto sull'addome, che cioè sono state già operate con la chirurgia tradizionale, a patto che il loro sfintere anale sia ancora in sede. L'innovativo approccio è tuttavia consigliato anche per le donne che presentano una fistola retto-vaginale, conseguente ad un tumore al collo dell'utero, per chi ha un adenoma benigno posizionato nel III segmento inferiore del retto e che non è asportabile con l'endoscopia e per chi ha un carcinoma al colon sviluppatosi in alto, ad esempio a 10 cm dall'esterno, e che si prevede possa scendere. E' invece sconsigliato ai grandi obesi, ai pazienti che non hanno più lo sfintere anale intatto e a chi soffre di malattie che infiltrano gli organi vicini al retto.
«La prevenzione è tuttavia la strategia migliore da perseguire», sottolinea Ermanno Leo. «Ogni medico di base dovrebbe far sottoporre i propri assistiti asintomatici al test del sangue occulto nelle feci ogni due anni e alla coloscopia almeno una volta nella vita». Anche l'anamnesi del paziente non va trascurata. L'eredità familiare per il cancro del colon-retto è associata infatti ad una percentuale affatto irrisoria che si aggira intorno al 15-20 per cento. La patologia delle emorroidi deve essere inoltre indagata con attenzione. A volte la perdita di sangue che comporta è ingannevole e nasconde la presenza di un tumore. Di qui la necessità di eseguire una coloscopia per definire il quadro clinico.
MANUELA CAMPANELLI
